Venerdì 14 aprile proietteremo in anteprima provinciale “Loving” di Jeff Nichols – CANDIDATO AI GOLDEN GLOBES 2017 PER: MIGLIOR ATTORE (JOEL EDGERTON) E ATTRICE (RUTH NEGGA) PROTAGONISTI – RUTH NEGGA È STATA CANDIDATA ANCHE AI PREMI OSCAR 2017 COME MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA.

 

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Venerdì 14 aprile proietteremo in anteprima provinciale “Loving” di Jeff Nichols – CANDIDATO AI GOLDEN GLOBES 2017 PER: MIGLIOR ATTORE (JOEL EDGERTON) E ATTRICE (RUTH NEGGA) PROTAGONISTI.- RUTH NEGGA È STATA CANDIDATA ANCHE AI PREMI OSCAR 2017 COME MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA.
IL TRAILER DEL FILM:


#CineramaFilmTv 11/2017 – Loving di Jeff Nichols – VOTO: 8
12 giugno 1967. La Corte suprema degli Stati Uniti d’America delibera sul caso Richard Perry Loving, Mildred Jeter Loving contro la Virginia: il Racial Integrity Act del 1924, documento che proibiva il matrimonio tra bianchi e neri, non è conforme alla Costituzione. Non è uno spoiler: è la Storia. Nel luglio del 2015 il caso è citato come precedente per affermare come «diritto fondamentale» il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Oggi, mentre gli estremi di destra e sinistra si congiungono in nome dei diritti sociali prima se non contro i diritti civili, Jeff Nichols (partendo, su suggerimento di Martin Scorsese, dal documentario HBO The Loving Story) se ne esce con un film che mette da parte l’epos della lotta politica, e si concentra sull’unica cosa che pertiene al suo cinema: l’uomo, punto, fuori da ogni retorica. È questo Loving. Un film letterale. La storia dei Loving, una storia d’amore. Mildred è nera, Richard è bianco. Lei aspetta un figlio. Lui compra un acro di terra, le chiede di diventare sua moglie, le promette di costruire una casa. Si sposano. Una notte, uno sceriffo li divide in nome della legge, un tribunale li costringe a vivere fuori dallo Stato. Non sono eroi, Richard e Mildred, non si vogliono protagonisti della Storia, al contrario: accettano la sorte segnata della loro piccola storia, non sanno come reagire. Lui è un uomo taciturno, pone mattone su mattone, lei una donna timidissima, cresce i loro figli. Non chiedono nulla. Se soffrono, soffrono fieri. Incapaci di dire la parola «rivendicare» (e se questa non è una questione di classe, sociale e civile…). La lotta per i diritti, Mildred la vede in tv. Scrive una lettera a Robert Kennedy, e finisce col marito nella macchina della Storia, come fosse un incidente: una macchina legale, fatta di avvocati generosi e in carriera, una macchina mediatica, fatta di servizi tra lo scoop e la denuncia, una macchina che per essere politica necessita degli interessi altrui, e dello spettacolo. Lo sguardo di Nichols, su tutto questo, è quello del fotografo di “Life” interpretato da Michael Shannon, il suo attore feticcio. Si chiude sui due. E, come nessuno a Hollywood sarebbe capace di fare, elide le scene prima che divengano madri, ottunde l’andamento drammatico, esclude il crescendo processuale, e sceglie un cinema piano fuori dal tempo (anche dal tempo del cinema classico), che non cerca catarsi, che non fa compiere gesti emblematici per spiegare i caratteri, ma lavora d’accumulo, mattone su mattone, scena dopo scena, perché sia lo spettatore a comprendere i sentimenti di quell’uomo e di quella donna che non dimostrano niente, che sono corpi silenti, comuni, non esemplari, interpretati con pudore (a un passo dalla caricatura in sottrazione) da Joel Edgerton e Ruth Negga. Così che quel «grazie» di Mildred al telefono mentre la camera accenna a stringere il quadro, quel labbro morso guardando l’acro di terra, quella didascalia finale, sono l’apice struggente di un film di rara economia narrativa, un film umanista, che sa farsi luogo di compassione, sdegnando lo sdegno.
Giulio Sangiorgio
[Distribuzione: CINEMA]

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